Il titolo della mostra che dal 20 Dicembre 202 al 6 Giugno 2025 sarà disponibile agli ex monopoli di Stato a Roma, dovrebbe essere Banksy contro Warhol e non Banksy and Andy Warhol. La mostra definisce i due personaggi “geni della comunicazione”. La smisurata presunzione di un certo tipo di intellighienza di sinistra pone Warohl come padre fondatore della Pop Art, un movimento a dir poco inutile e intollerabile nell’essere accostato all’arte. Il secondo, Banksy, oltremodo il re dell’ignoto, vista sconosciuta la sua identità, indubbiamente si pone come un importantissimo comunicatore e anche se la sua tecnica street art non sia particolarmente raffinata è indubbiamente un artista di grande spessore emotivo e comunicativo. Già dal messaggio che i due mandano si trovano i contrapposti della comunicazione. Warhol dice: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”, ciò denota la totale propensione al vittimismo e al pessimismo di una sventurata classe medio borghese radica chic sinistroide che, pur di sfuggire al decadimento morale anglo-americano degli anni 60/70, pone l’accento sulla futilità anche come forma d’arte e non soltanto della rivalutazione morale. Warhol dichiara che il suo popolo è soltanto interessato alla dispersione di quel capitale come forma di supremazia cioè: il popolo americano è interessato soltanto a comprare inventato ciò come esempio di società, tanto che una sua opera è il banalissimo dollaro con la sua firma sopra. Il tentativo di comunicare la dispersione del valore attraverso una forma di edonismo psichedelico è deprimente. Warhol si nasconde dentro assemblati effimeri e senza contenuti artistici: un barattolo di salsa in una teca di vetro, le teste della Monroe in una specie di posterizzazione banale, una banana dipinta che diverrà la sua più importante opera, per essere stata usata dal gruppo rock Velvet Underground come copertina del loro vinile. Insomma, Warhol diviene l’inventore del nulla perché quel tipo di intellighenzia, rifiuta totalmente gli stereotipi della vera arte e cerca, nell’inutilità e nel vuoto messaggio, un rappresentante di quel linguaggio che svilirà l’arte stessa. Quindi, si cercherà di dar senso all’assemblato come forma post moderna di qualcosa già accaduta tra il ‘50 e il ‘60 con Kerouac e Ginsberg, con la notevole differenza che i due scrittori anche giocando con il totale effimero, rappresentano un punto di partenza per qualcosa che non sarà mai inutile Pop bensì Beat e darà il via a quella dominazione morale jazz capace di trasformare il disordine in motivazione e improvvisazione. Banksy ha un approccio totalmente diverso già partendo dal messaggio: “Ognuno nella vita avrà 15 minuti di anonimato”, questo è il pensiero positivo e progressista dell’eroe ignoto. Banksy, anche se non usando una tecnica eccezionale, pone lo sguardo sul messaggio e definisce l’umanità come un successo per definizione. Lo sguardo attento verso le minoranze, non è frutto della ricerca di un messaggio paraculo, Banksy reagisce all’intollerabile arroganza del potere assoluto mostrando la possibilità di essere noi stessi veicolo di verità. Una delle sue opere più iconiche: Il lanciatore di fiori, precede atteggiamenti del potere contro i deboli. Il personaggio da lui disegnato lancia i fiori verso la Palestina, come a definirla un carcere a cielo aperto, in cui il potere economico e deviato compie azioni ripugnanti per ogni forma politica addirittura verso al dittatura stessa. Banksy stravolge, attraverso l’opera Flag, la convinzione americana che Raising the flag on Iwo Jima della seconda guerra mondiale, una fotografia strumentalizzata e costruita a tavolino, in cui sei soldati americani innalzano la bandiera statunitense, sia il fulcro della potenza mondiale e dell’esempio sacrificante e ortodosso del popolo a stelle e strisce… Banksy demolisce questa convinzione, ponendo lo stesso numero di ragazzi su una automobile malridotta che innalzano la stessa bandiera, l’immagine non è più vittoriosa come la prima ma definisce la gioventù emarginata dal sistema, una popolazione che combatte dai sobborghi per alzare la testa verso il cielo, ma in tutto questo non dimentica di rappresentare la dignità e il valore morale di una vittoria alternativa e duratura: quella della maggioranza della popolazione e della sua normalità quindi, il successo passa come diritto di essere e non di avere, concetto che di base è sfuggito a Warhol e ai suoi amici. Nella critica all’arte spesso si accostano le necessità personali e i soldi ricevuti dai manager e case d’asta, da qui l’incapacità di molti di non essere dei finti radical e vedere le cose da dentro. Banksy dipinge il Cristo crocifisso senza chiodi ma da buste per lo shopping e immediatamente la critica si pone a favore di un ateismo dell’artista, definendo la sua denuncia come volontà di esprimere un suo Cristo morto… errato! Ma come le definite le cose? Banksy urla la sua spiritualità uccisa dal consumismo (Pop) che si auto alimenta attraverso le festività e l’effimera rappresentazione del consumismo estremo, così estremo da uccidere il significato di un Cristo che, nel giorno della Pasqua, muore per redimere tutti dall’effimero stesso, ma soggiogato dalla povertà dell’assemblaggio pop e post capitalista si arrende all’evidenza dei fatti: la povertà del messaggio moderno non è salvabile neanche attraverso l’estremo sacrificio. Banksy è, dal mio punto di vista, un comunicatore perfetto che non si definisce soltanto nel controbattere al potere ma anche valutare gli aspetti più ortodossi della spiritualità umana.
Banksy contro Warhol: questo è il titolo giusto… di Fabio Fiorina
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